
© Filippo Chinnici
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Nel turbinio della narrazione geopolitica contemporanea, un aspetto rimane spesso taciuto o, nella migliore delle ipotesi, relegato ai margini dell’attenzione mediatica: la progressiva alienazione della sovranità economica ucraina attraverso la cessione silenziosa delle sue terre e delle sue risorse a colossi finanziari e industriali stranieri. Un fenomeno che, lungi dall’essere un effetto collaterale del conflitto in corso, affonda le proprie radici ben prima della crisi bellica del 2022.
Contenuti
1. Un processo in atto da oltre un decennio
Le prime concessioni di terre ucraine a entità straniere risalgono a ben prima dell’attuale conflitto. Nel 2012, il governo di Kiev selezionò le multinazionali Royal Dutch Shell e Chevron Corp per sviluppare i giacimenti di gas di scisto nelle aree di Yuzivska (nelle regioni di Donetsk e Kharkiv) e Olesska (nella regione di Lviv).
Questi accordi, strategicamente voluti per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, concessero il diritto di esplorazione ed estrazione per un periodo di 50 anni (Reuters). Tuttavia, nel 2014, Chevron abbandonò il progetto per ragioni economiche e geopolitiche, mentre nel 2015, Shell si ritirò dal giacimento di Yuzivska a causa dell’instabilità politica e del conflitto nel Donbas.
Parallelamente, nel 2013, il colosso statale cinese Xinjiang Production and Construction Corps (XPCC) siglò un accordo per la locazione di 3 milioni di ettari di terre coltivabili ucraine, equivalenti alla superficie del Belgio, con un’opzione di acquisto al termine della concessione (Analsi Difesa). Tuttavia, non ci sono conferme ufficiali da fonti cinesi sul completamento dell’accordo. Mentre la Cina ha manifestato interesse in passato per le risorse agricole ucraine, attualmente le sue strategie economiche sembrano focalizzarsi sul rafforzamento della produzione agricola interna, in particolare nelle regioni del Xinjiang e dell’Heilongjiang.
2. La condizione imposta dal Fondo Monetario Internazionale
Uno snodo cruciale nella liberalizzazione del mercato fondiario ucraino è rappresentato dalla riforma agraria imposta come condizione per l’accesso ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Fino al 2021, in Ucraina vigeva una moratoria sulla vendita di terreni agricoli a entità private, una misura di tutela volta a prevenire la speculazione estera su un settore vitale per l’economia nazionale. Tuttavia, nel 2021, sotto la presidenza di Volodymyr Zelensky, questa restrizione venne revocata, consentendo la vendita tra privati ucraini, ma mantenendo il divieto per gli acquirenti stranieri. Nonostante il divieto formale, la crescente influenza degli investitori stranieri avviene attraverso fondi di investimento, joint ventures e altri strumenti finanziari. (RSI.ch).
3. L’egemonia delle multinazionali occidentali
A seguito di questa liberalizzazione, le multinazionali dell’agrobusiness hanno rafforzato la loro influenza nel settore agricolo ucraino. Secondo un rapporto dell’Oakland Institute, la legislazione ucraina vieta la vendita diretta di terreni agricoli a soggetti stranieri, ma ciò non impedisce il loro controllo indiretto attraverso leasing a lungo termine, joint ventures con imprese locali e massicci investimenti infrastrutturali.
Questa dinamica ha favorito la crescente presenza di multinazionali come Cargill, Dupont e Monsanto (ora parte del gruppo Bayer), nonché fondi sovrani di paesi del Golfo, che operano attraverso intermediari e partnership finanziarie. (Oakland Institute).
Un’ulteriore porzione significativa del settore agricolo è controllata da oligarchi locali che operano come intermediari per capitali stranieri. Tra i principali attori emergono:
- NCH Capital (USA),
- AgroGeneration (Francia),
- ADM Germany, KWS, Bayer, BASF (Germania),
- Public Investment Fund (PIF) e SALIC (Arabia Saudita).
Sebbene non vi siano prove documentate di un coinvolgimento diretto degli oligarchi russi nel settore agricolo ucraino, alcune fonti indicano che oligarchi con doppia cittadinanza, come Vadym Novyns’kyj, possano esercitare un’influenza indiretta. Novyns’kyj, nato in Russia e naturalizzato ucraino, è proprietario dello Smart Holding Group, che detiene una partecipazione del 23,75% nella multinazionale Metinvest e ha interessi in diversi settori strategici ucraini, sebbene non prettamente agricoli
A riprova di questa crescente egemonia, nel 2022, Cargill, il gigante agroalimentare statunitense, ha acquisito il 51% del terminal portuale di Mykolaiv, una delle principali porte d’accesso per l’export agricolo ucraino, consolidando il controllo della filiera alimentare del Paese (Analisidifesa.it).
4. Il ruolo di BlackRock e l’assoggettamento economico
Oltre al settore agricolo, il processo di privatizzazione ha investito anche comparti industriali e strategici. BlackRock Financial Markets Advisory (BlackRock FMA), la più grande società di investimento al mondo, ha recentemente acquisito partecipazioni significative in alcuni dei più importanti asset industriali e infrastrutturali ucraini. Tra questi figurano:
- Metinvest (settore minerario e metallurgico),
- Naftogaz (principale compagnia energetica del Paese),
- Ukrenergo (operatore della rete elettrica nazionale),
- Ukroboronprom (complesso industriale della difesa).
L’espansione di BlackRock, avvenuta tramite strategie finanziarie e accordi con il governo ucraino, ha suscitato il timore che il Paese stia subendo una progressiva “colonizzazione economica”, in cui i reali beneficiari della guerra non sarebbero gli ucraini, bensì le élite finanziarie occidentali (RSI.ch).
Conclusioni
Quis custodiet ipsos custodes? – Chi sorveglierà i sorveglianti? -. L’interrogativo di Giovenale risuona oggi con inquietante attualità nel contesto ucraino.
Se da un lato l’Occidente ha fornito sostegno finanziario e militare all’Ucraina nel nome della libertà e della sovranità nazionale, dall’altro ha subordinato questi aiuti a condizioni che hanno progressivamente spogliato il Paese della sua autonomia economica. Il risultato è una Ucraina sempre più dipendente da capitali stranieri, la cui terra e le cui risorse sembrano passare sotto il controllo di oligopoli globali che non sono solo occidentali.