
Mentre i riflettori della geopolitica sono puntati su guerre convenzionali e tensioni militari, si combatte su un altro fronte: quello delle tecnologie strategiche. E tra queste, i microchip sono la nuova polvere da sparo.
Lo ha confermato Donald Trump nei giorni scorsi, con dichiarazioni che non hanno lasciato spazio a interpretazioni: se Taiwan non produrrà chip sul suolo americano, verrà colpita con dazi fino al 100%. Un messaggio indirizzato direttamente a TSMC, leader mondiale dei semiconduttori.
La notizia, riportata da testate internazionali come Reuters, Business Insider e Focus Taiwan, mostra il ritorno in grande stile della diplomazia dei dazi, con l’obiettivo di riportare l’intera filiera sotto controllo statunitense.
E se lo scontro sembra consumarsi tra Washington e Taipei, in realtà l’onda d’urto potrebbe colpire anche l’Italia, silenziosamente ma profondamente.
Contenuti
1. TSMC nel mirino: un terremoto nella catena globale
Le parole dell’ex presidente USA sono chiare: o si produce in America, o si paga caro. Secondo Reuters, Trump avrebbe minacciato direttamente TSMC durante il suo primo mandato, costringendola ad avviare la costruzione di uno stabilimento in Arizona. Ma non basta. La nuova retorica protezionista punta a rompere la dipendenza tecnologica da Taiwan, e con essa a riscrivere le regole del gioco globalizzato.
Ma cosa c’entra l’Italia?
2. Una filiera italiana poco visibile, ma strategica
L’Italia, troppo spesso esclusa dal racconto mediatico sul digitale, vanta un sistema industriale avanzato nei semiconduttori. La STMicroelectronics, con impianti a Catania e Agrate Brianza, è tra i principali player europei. Ad Avezzano opera LFoundry, specializzata in chip per il settore automotive. A Novara arriverà Silicon Box, azienda con sede a Singapore che investirà oltre 3 miliardi di euro per un nuovo impianto produttivo.
Eccellenze come Technoprobe, SPEA, Microtest e MEMC contribuiscono in modo decisivo alle fasi di testing, collaudo e fornitura di wafer, spesso per clienti globali.
Molte di queste realtà lavorano in connessione con aziende asiatiche o statunitensi, direttamente o attraverso subforniture. Se la guerra dei dazi si espande, anche loro potrebbero trovarsi a dover ridefinire rapporti commerciali, rotte logistiche e flussi di capitale.
3. Il rischio: isolamento o rilancio?
Come sottolineato da The Guardian e da Barron’s, i mercati stanno già reagendo con tensione a questi scenari. Taiwan ha registrato flessioni borsistiche record, e l’industria europea osserva con apprensione. Ma, paradossalmente, una crisi può generare opportunità.
La strategia USA di riportare la produzione “a casa” potrebbe spingere anche l’Europa a fare lo stesso. Il Chips Act europeo, ancora in fase di implementazione, mira proprio a rilocalizzare parte della filiera, rendendo il continente meno dipendente da forniture esterne.
In questo quadro, l’Italia può e deve candidarsi come hub di eccellenza.
4. Cosa serve all’Italia per essere protagonista
La filiera italiana dei semiconduttori ha tre punti di forza:
- Competenze ingegneristiche di alto livello
- Presenza di poli industriali già attivi e integrati
- Interesse da parte di investitori esteri (es. Singapore, Taiwan, USA)
Ciò che ancora manca è una visione politica industriale di lungo respiro: investimenti in formazione tecnica, semplificazione normativa, incentivi mirati, e una diplomazia industriale capace di proteggere il know-how nazionale.
Conclusione: una guerra commerciale che riguarda anche noi
Quando si parla di microchip, non si parla solo di smartphone o automobili. Si parla di sovranità tecnologica, sicurezza nazionale, occupazione qualificata.
I dazi di Trump su Taiwan sono solo la prima mossa di una partita molto più grande. L’Italia può essere una pedina, oppure un alleato strategico. Dipende da quanto saprà guardare lontano.