
© Filippo Chinnici
Il Talmud, corpus esegetico e normativo fondamentale dell’ebraismo rabbinico, trova le sue origini nella complessa elaborazione della Torah orale (Torah Shebe’al Peh), sviluppatasi durante il periodo del Secondo Tempio e formalizzata dalla scuola farisaica. L’opposizione tra Farisei e Sadducei in merito alla corretta interpretazione della Torah scritta (Torah Shebiktav) fu cruciale per la nascita di questa tradizione orale, la quale, con la distruzione del Tempio nel 70 d.C., divenne il cardine dell’ebraismo post-biblico.
La successiva trasmissione di questo corpo dottrinale avvenne per secoli in forma orale, fino alla sua sistematizzazione nella Mishnah e nei due Talmud (Bavli e Yerushalmi). Questo studio esamina la genesi storica e teologica del Talmud, evidenziandone le radici farisaiche, il ruolo dei Sadducei come contraltare ideologico e il processo di codificazione della tradizione orale. Infine, verrà analizzata la contrapposizione tra il Talmud e il messaggio di Gesù, che nei Vangeli denuncia le tradizioni umane come ostacolo alla comprensione autentica della Legge divina.
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Contenuti
- Introduzione
- 1. Farisei e Sadducei: divergenze teologiche e giuridiche
- 2. La codificazione della tradizione orale e la nascita del Talmud
- 3. Il Talmud e la sua contrapposizione al Cristianesimo
- Conclusione
Introduzione
Secondo la tradizione rabbinica, alla Torah scritta (Torah Shebiktav, תּוֹרָה שֶׁבִּכְתָב) si affianca un insegnamento parallelo, tramandato oralmente (Torah Shebe’al Peh /תּוֹרָה שֶׁבְּעַל פֶּה), ritenuto essenziale per una corretta interpretazione e applicazione del testo sacro. Questo corpus normativo, trasmesso per via orale prima di essere codificato, costituì il fondamento del Talmud, il più autorevole compendio della giurisprudenza rabbinica.
Tuttavia, la legittimità della Torah orale fu oggetto di profonde controversie, in particolare tra le due principali fazioni dell’ebraismo del Secondo Tempio: i Farisei e i Sadducei.
- I Sadducei, élite sacerdotale dominante nel Tempio e nel Sinedrio, sostenevano un’interpretazione strettamente letterale della Torah, rifiutando qualsiasi tradizione orale e attenendosi rigidamente al testo scritto (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XVIII, 16-17).
- I Farisei, invece, affermavano che la Torah scritta non potesse essere compresa senza un’interpretazione orale, indispensabile per la sua applicazione nella vita quotidiana e per l’adattamento ai mutamenti storici.
Questa divergenza non si limitò all’ambito ermeneutico, ma si tradusse in conflitti dottrinali, giuridici e politici, che influenzarono profondamente l’evoluzione del giudaismo. Con la distruzione del Tempio nel 70 d.C., i Sadducei, la cui autorità dipendeva dal culto sacrificale, scomparvero dalla scena storica, mentre i Farisei, privi di un legame esclusivo con il Santuario, riorganizzarono il giudaismo attorno alle loro accademie rabbiniche e alla Halakhah.
Questo passaggio segnò una svolta fondamentale: il giudaismo post-secondo tempio o «rabbinico nascente» cessò di essere una religione centrata sul sacrificio e divenne una religione della legge orale, il cui fulcro era l’interpretazione rabbinica della Torah. L’opera dei maestri farisaici portò alla sistematizzazione della Torah orale nella Mishnah (circa 200 d.C.) e, successivamente, nella Gemara, che diede origine ai due Talmud.
L’affermazione della Torah orale come pilastro del giudaismo post-biblico creò una frattura insanabile con il Cristianesimo nascente, che riconosceva in Gesù il compimento della Legge mosaica e rifiutava l’interpretazione normativa dei Farisei (Matteo 5:17-20; Marco 7:8-9). Nei Vangeli, il Messia critica apertamente l’ipocrisia farisaica e la tendenza a sostituire i comandamenti di Dio con precetti umani, un’accusa che, col senno di poi, prefigura la codificazione della tradizione rabbinica nel Talmud.
1. Farisei e Sadducei: divergenze teologiche e giuridiche
L’ebraismo del Secondo Tempio non era un monolite dottrinale, ma una realtà plurale e caratterizzata da profonde divergenze ideologiche e interpretative. Due delle principali correnti teologiche, i Farisei e i Sadducei, si contesero il primato dell’interpretazione della Torah, sviluppando due modelli esegetici e dottrinali radicalmente diversi, che avrebbero avuto implicazioni cruciali per l’evoluzione del giudaismo e la nascita del Talmud
A. I Farisei e la tradizione orale
I Farisei (פרושים, Perushim, “separati”) costituivano un movimento religioso ed esegetico che trovava le sue radici nell’epoca dei Maccabei (II sec. a.C.). Essi sostenevano che la Torah scritta fosse inseparabile da una tradizione orale che ne chiariva e adattava il contenuto alle necessità della società. Tale tradizione, tramandata attraverso generazioni, venne successivamente codificata nella Mishnah e nel Talmud.
Uno dei principi cardine dell’ermeneutica farisaica era che Mosè, oltre alla Torah scritta, avesse ricevuto un corpo di insegnamenti orali (Torah Shebe’al Peh) da trasmettere ai saggi d’Israele. Questa concezione permise ai Farisei di sviluppare una giurisprudenza flessibile, capace di adattarsi alle mutate condizioni storiche, sociali ed economiche del popolo ebraico. L’interpretazione farisaica si basava su tre elementi fondamentali:
- Midrash Halakhah (מדרש הלכה): metodo esegetico volto a derivare precetti legali dalla Torah scritta attraverso regole interpretative complesse.
- Takkanot (תקנות): decreti rabbinici che modificavano o adattavano la legge per il bene della comunità.
- Minhaghim (מנהגים): costumi consolidati che acquisivano valore normativo nel tempo.
I Farisei accettavano anche dottrine teologiche estranee alla Torah scritta, come:
- La risurrezione dei morti (תחיית המתים, Tehiyyat ha-Metim), assente nella Torah scritta ma confermata dai profeti (Sanhedrin 90b).
- La credenza negli angeli e demoni, elemento che evidenzia influenze persiane.
- L’idea della giustizia retributiva nell’aldilà, secondo cui le anime dei giusti sarebbero state ricompensate e quelle degli empi punite.
Il modello giuridico dei Farisei garantì la sopravvivenza del giudaismo dopo la distruzione del Tempio, poiché essi avevano elaborato un sistema normativo indipendente dal culto sacrificale, basato sulla preghiera, lo studio della Torah e l’osservanza della Halakhah (הלכה, la legge ebraica).
B. I Sadducei e l’interpretazione letterale della Torah
I Sadducei (צדוקים, Tzedukim), così chiamati probabilmente in riferimento al sacerdote Zadok, formavano un’élite aristocratica e sacerdotale che controllava il Tempio e l’apparato cultuale (G. Flavio, Antichità Giudaiche, XVIII, 16-17). A differenza dei Farisei, essi rifiutavano la tradizione orale e sostenevano un’interpretazione rigorosamente letterale della Torah.
Le principali differenze dottrinali tra Sadducei e Farisei erano:
1. Negazione della tradizione orale
I Sadducei accettavano esclusivamente la Torah scritta e respingevano qualsiasi elaborazione rabbinica successiva. Per loro, ogni precetto religioso doveva trovare un fondamento esplicito nel testo mosaico, senza aggiunte interpretative.
2. Rigetto della risurrezione e dell’Aldilà
Secondo Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica II, 162-165), i Sadducei negavano la resurrezione dei morti e ogni forma di vita ultraterrena. Tale dottrina li poneva in netto contrasto con i Farisei e, successivamente, con la predicazione di Gesù (Matteo 22:23-33).
3. Interpretazione letterale delle leggi della Torah
I Sadducei applicavano il principio del taglione (lex talionis, occhio per occhio) in senso strettamente fisico (Makkot 1:1), mentre i Farisei lo reinterpretavano in chiave pecuniaria, stabilendo risarcimenti economici per le offese personali.
4. Centralità del culto sacrificale
Per i Sadducei, il culto nel Tempio era l’elemento essenziale della fede ebraica. Di conseguenza, la loro influenza si dissolse con la distruzione del Tempio nel 70 d.C., evento che segnò il trionfo del farisaismo e la nascita del giudaismo rabbinico.
2. La codificazione della tradizione orale e la nascita del Talmud
Dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C., il giudaismo subì una trasformazione radicale: senza il culto sacrificale, il focus si spostò dall’offerta nel Santuario allo studio della Torah e alla giurisprudenza rabbinica. Fu in questo contesto che la tradizione orale, fino a quel momento trasmessa verbalmente, venne sistematizzata e messa per iscritto.
A. La Mishnah
La Mishnah (משנה, “ripetizione”), compilata da Rabbi Yehuda Ha-Nasi intorno al 200 d.C., rappresenta la prima codificazione della tradizione orale. Essa raccoglie sentenze e discussioni giuridiche dei maestri farisaici, strutturate in sei ordini (Sedarim), che trattano argomenti quali:
- Zera’im (Semi) – leggi agricole e benedizioni.
- Mo’ed (Tempi) – festività e calendario ebraico.
- Nashim (Donne) – matrimonio e diritto familiare.
- Nezikin (Danni) – diritto civile e penale.
- Kodashim (Cose sacre) – norme sui sacrifici e il Tempio.
- Tohorot (Purità) – leggi sulla purezza rituale.
B. Il Talmud di Gerusalemme e il Talmud Babilonese
Con il tempo, la Mishnah divenne oggetto di commenti e discussioni nelle accademie rabbiniche di Palestina e Babilonia, portando alla redazione di due Talmud:
1.Talmud Yerushalmi (IV sec. d.C.).
- Sviluppato nelle scuole rabbiniche della Palestina (Tiberiade, Cesarea).
- Presenta una struttura meno sistematica rispetto al Talmud babilonese.
2.Talmud Bavli (V-VI sec. d.C.)
- Compilato nelle accademie di Sura e Pumbedita in Babilonia.
- Molto più esteso e analitico, divenne il testo normativo dell’ebraismo.
Il Talmud Babilonese, con la sua vastità e approfondimento giuridico, prevalse nel giudaismo rabbinico, sostituendo la Torah scritta con un sistema normativo autonomo che elevava la tradizione orale al rango di legge divina.
Pertanto, il Talmud, lungi dall’essere una mera esegesi della Torah, ne sovverte il primato attraverso un sistema normativo indipendente. La sua origine farisaica lo pone in diretta opposizione con il messaggio di Gesù, che predicava il ritorno alla Torah nella sua purezza originaria. L’analisi storica e teologica dimostra che la frattura tra giudaismo rabbinico e Cristianesimo non è accidentale, bensì il risultato di visioni inconciliabili della rivelazione divina.
3. Il Talmud e la sua contrapposizione al Cristianesimo
Sebbene il Talmud costituisca una colonna portante della cultura giudaica, il suo rapporto con il cristianesimo è stato spesso oggetto di controversie e dibattiti sin dall’antichità. In questo capitolo analizzo il contrasto tra il Talmud e l’insegnamento del Messia, Gesù, nonché il rifiuto del Vangelo e la conseguente ostilità verso il Cristianesimo.
A. Gesù e la condanna delle tradizioni farisaiche
Nei Vangeli, Gesù si scontrò ripetutamente con le tradizioni farisaiche, denunciandone le incongruenze e condannandone l’ipocrisia:
“Ipocriti! Bene ha profetato Isaia di voi, dicendo: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini’” (Matteo 15:7-9).
Questo passo può essere interpretato come una profezia ante-litteram sugli sviluppi della tradizione talmudica, la quale si sarebbe progressivamente allontanata dallo spirito autentico della Torah per sostituirlo con un sistema di precetti umani.
L’intero capitolo 23 del Vangelo di Matteo è un atto di accusa nei confronti dei Farisei. Gesù li definisce:
- Guide cieche,
- Sepolcri imbiancati,
- Uomini che impongono pesi insopportabili sulle spalle del popolo,
- Figli del diavolo che è il padre della menzogna.
E ancora:
Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini; e voi non vi entrate, né lasciate entrare quelli che vogliono entrarvi! (Matteo 23:13).
Questa opposizione frontale tra il Messia e i Farisei si manifesta nella successiva evoluzione del Talmud, che diventerà la codificazione della tradizione orale farisaica, stabilendo un netto rifiuto di Cristo e del Vangelo.
B. Il Talmud contro Cristo
Il contrasto tra l’insegnamento di Gesù e la tradizione farisaica non è una mera divergenza interpretativa, ma costituisce un elemento strutturale del giudaismo rabbinico post-biblico, il quale trovò la sua espressione più compiuta nella redazione del Talmud. In esso, la figura di Yeshu ha-Notzri (Gesù il Nazareno) è presentata in una luce fortemente polemica e giuridicamente delegittimante, discostandosi in modo radicale dall’immagine evangelica e messianica del Cristo.
1. La condanna di Gesù nei testi talmudici
Il Trattato Sanhedrin 43a, riporta:
Alla vigilia di Pesach, Yeshu fu impiccato. Per quaranta giorni prima dell’esecuzione, un banditore proclamò: “Egli sarà lapidato perché ha praticato la magia e ha sviato Israele nell’apostasia. Chiunque abbia qualcosa da dire in sua difesa, venga avanti e lo faccia”. Ma poiché nessuno si presentò a difenderlo, fu impiccato alla vigilia di Pesach.
Questa narrazione si discosta dai racconti evangelici sotto due aspetti principali:
- L’accusa di magia: nei Vangeli, i Farisei accusano Gesù di compiere miracoli per mezzo di Beelzebùl (Matteo 12:24), un’accusa che trova eco nel Talmud.
- Il ruolo delle autorità giudaiche nella condanna di Gesù: il Talmud non fa riferimento alla giurisdizione romana, attribuendo la sentenza di morte interamente ai capi religiosi ebraici.
Nel Trattato Gittin (57a) si legge un ulteriore riferimento sprezzante alla figura di Gesù:
Yeshu è nel Gehinnom, dove viene immerso in sterco bollente.
Tale rappresentazione escatologica indica non solo un rifiuto della figura messianica cristiana, ma anche un tentativo di delegittimarla completamente.
2. Il carattere dispregiativo delle denominazioni talmudiche di Gesù
Nel Talmud, Gesù non viene mai menzionato con il suo nome proprio, ma con appellativi volutamente distorsivi e offensivi. Alcuni esempi includono:
- Ben Stada (Sanhedrin 67a), un nome enigmatico che alcuni hanno interpretato come allusione alla follia o alla dissolutezza.
- Talui, «colui che fu appeso», riferimento alla crocifissione ma in un contesto di disprezzo.
- Yeshu ha-Notzri, acronimo interpretato da alcuni commentatori medievali come Yimach Shemo U’zichro («Che il suo nome e la sua memoria siano cancellati»).
C. Il Talmud contro il Cristianesimo
Le tensioni tra il giudaismo rabbinico e il cristianesimo affondano le loro radici nel I secolo d.C., quando il movimento di Gesù di Nazareth venne percepito come una minaccia alla stabilità della tradizione ebraica. Con la progressiva separazione tra le due religioni e l’ascesa del cristianesimo nell’Impero Romano, la tradizione rabbinica assunse un atteggiamento sempre più ostile nei confronti dei seguaci di Cristo.
Il termine Minim e la condanna dei cristiani
Nel Talmud, i cristiani vengono spesso identificati con il termine Minim (מינים), tradotto generalmente come «eretici» o «settari». Tuttavia, l’interpretazione più accreditata tra gli studiosi suggerisce che il termine fosse usato prevalentemente per riferirsi ai giudeo-cristiani, ossia a coloro che seguivano la fede in Gesù pur appartenendo alla comunità ebraica.
Uno dei passi più espliciti in cui i Minim vengono condannati si trova nel Trattato Berakhot 28b-29a, dove si parla della cosiddetta Birkat ha-Minim, una maledizione che avrebbe fatto parte della preghiera quotidiana ebraica Amidah:
Per gli eretici [Minim] non vi sia speranza; e possa il regno dell’arroganza essere rapidamente sradicato nei nostri giorni. E possano i Nazarei e gli eretici perire in un istante.
Questa preghiera, secondo alcuni studiosi, sarebbe stata introdotta nei circoli rabbinici proprio per escludere i cristiani giudei dalle sinagoghe e rafforzare la separazione tra giudaismo e cristianesimo. Si tratta di un dato significativo, perché dimostra come il rifiuto della nuova fede fosse radicato nella liturgia ebraica stessa.
Il Talmud Babilonese, oltre a condannare teologicamente il cristianesimo, prescrive anche norme giuridiche volte a limitare i rapporti con i cristiani. Nel Trattato Avodah Zarah (26b) si legge:
I migliori tra i Gentili meritano la morte.
Questo passo è stato oggetto di diverse interpretazioni, e le versioni moderne del Talmud spesso cercano di attenuarne il significato. Tuttavia, nel contesto rabbinico dell’epoca, esprimeva un atteggiamento di netta separazione tra il popolo ebraico e le nazioni pagane, tra cui il cristianesimo era incluso.
Un’altra prescrizione significativa si trova in Shabbat 116a, dove si afferma:
I libri dei Minim devono essere bruciati, anche nei giorni di festa.
Secondo gli studiosi, il riferimento ai libri dei «Minim» potrebbe indicare proprio i Vangeli o altri testi cristiani. La pratica di distruggere gli scritti cristiani divenne comune nei circoli rabbinici e si intensificò con l’avanzata del cristianesimo nell’Impero Romano.
Verrebbe da dire: Lex nova, gratia et veritas per Iesum Christum facta est – La nuova legge, la grazia e la verità sono state date per mezzo di Gesù, il Messia (Giovanni 1:17).
D. Il Talmud contro il messaggio del Vangelo
Il contrasto tra il Talmud e il Cristianesimo non si limita alla figura di Cristo, ma si estende alla sua dottrina. Il Vangelo predica la grazia, la misericordia e la redenzione universale, mentre il Talmud enfatizza un sistema normativo basato sulla casistica giuridica e sulla rigida separazione tra Ebrei e Gentili.
1. La visione talmudica del Cristianesimo come eresia e idolatria
Il Trattato Avodah Zarah, che regolamenta i rapporti tra ebrei e idolatri, classifica esplicitamente il Cristianesimo tra le pratiche abominevoli:
I Minim (eretici) e gli apostati devono essere distrutti e i loro libri bruciati, anche nei giorni di festa (Shabbat 116a).
Bisogna aggiungere, che il termine «Minim» è un termine generico per indicare gli eretici, spesso interpretato come un riferimento ai cristiani giudeo-messianici del I e II secolo. La distruzione dei loro scritti, indica il rifiuto categorico della Buona Novella, impedendone la diffusione. In Avodah Zarah 26b, si afferma inoltre:
I migliori tra i Gentili meritano la morte.
Anche se questo passo è stato oggetto di attenuazioni e revisioni nelle edizioni moderne del Talmud, resta comunque una prova della netta separazione tra la visione talmudica e l’ideale evangelico della fratellanza universale (Galati 3:28).
2. Il rifiuto della croce e della nuova alleanza
Uno dei punti di maggiore contrasto teologico riguarda la Nuova Alleanza (Berit Hadashah), che nel Cristianesimo è vista come il compimento delle promesse veterotestamentarie:
Ecco, verranno giorni, dice il Signore, in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda (Geremia 31:31).
Tuttavia, il Talmud rifiuta questa visione, insistendo sulla perpetuità dell’Alleanza mosaica. Il Trattato Bava Metzia 85b afferma che l’unica fonte di salvezza è la Torah scritta e orale, escludendo ogni possibilità di un nuovo patto fondato sulla grazia.
Parallelamente, il Talmud prescrive un forte rifiuto verso il simbolo della Croce. In Sanhedrin 63b, si afferma:
Nessun ebreo deve inchinarsi davanti alla croce, anche in caso di pericolo di vita.
Questa proibizione riflette la distanza tra il giudaismo rabbinico e il cuore della fede cristiana.
E. Il Talmud contro il Cristianesimo
L’atteggiamento del Talmud nei confronti del Cristianesimo e dei suoi seguaci è stato oggetto di studio da parte di numerosi accademici, i quali hanno messo in evidenza la persistenza di elementi polemici e, in alcuni casi, di aperta ostilità nei confronti dei cristiani. Sebbene alcuni studiosi abbiano cercato di ridimensionare questi aspetti, affermando che si trattava di reazioni a un contesto di persecuzione, il contenuto letterale di diversi passi del Talmud rivela un atteggiamento di netta contrapposizione teologica e sociale nei confronti dei Gentili in generale e dei cristiani in particolare.
1. La condanna dei cristiani come idolatri
I seguaci di Cristo, definiti nel Talmud con il termine «minim» (eretici), vengono spesso assimilati agli idolatri, con rilevanti implicazioni giuridiche e teologiche. Nel Trattato Avodah Zarah 26b si legge l’affermazione:
i migliori tra i gentili meritano la morte.
Sebbene questo passo sia stato oggetto di dibattito esegetico, nella tradizione rabbinica medievale fu interpretato da diverse autorità come un riferimento ai cristiani, specialmente in un’epoca in cui il Cristianesimo veniva percepito come una minaccia alla continuità e all’identità del giudaismo.
Un altro passo significativo è contenuto in Avodah Zarah 17a, dove si sostiene che i «minim» non avranno parte al mondo a venire. Questo concetto implica una condanna escatologica dei cristiani, rafforzando la distinzione netta tra il popolo eletto e coloro che hanno seguito Cristo. La stessa terminologia è presente in Sanhedrin 90a, dove si afferma che «chi legge i Vangeli e chi segue la via dei minim non avrà parte alla vita eterna».
2. La distruzione dei testi cristiani
L’ostilità verso il Cristianesimo non si limitava a considerazioni teologiche, ma assumeva anche una dimensione pratica, mirata a prevenire l’influenza della dottrina cristiana tra gli ebrei. Nel trattato Shabbat 116a, il Talmud ordina la distruzione dei testi cristiani:
I libri dei minim devono essere bruciati, persino nelle festività sacre.
Questa dichiarazione, oltre a rappresentare un rifiuto esplicito della letteratura cristiana, è indice di una preoccupazione costante da parte dei rabbini talmudici riguardo alla diffusione del messaggio evangelico.
Un’altra affermazione degna di nota si trova in Gittin 45b, dove si afferma che un rotolo della Torah scritto da un cristiano deve essere bruciato, anche se contiene il Nome divino. Questo precetto mostra come il Cristianesimo fosse considerato non solo un’eresia, ma una contaminazione tale da rendere impuri anche i testi sacri scritti dai suoi seguaci.
3. Divieto di soccorrere i cristiani in difficoltà
Il Talmud non si limita a una condanna spirituale del Cristianesimo, ma prescrive anche norme che regolano i rapporti tra ebrei e cristiani. Nel Choshen Hammischpat 425,5, si afferma che un ebreo non dovrebbe salvare un cristiano in pericolo di vita. Questo precetto è stato storicamente discusso da diverse autorità rabbiniche, alcune delle quali hanno cercato di attenuarne il significato, sostenendo che si trattava di una disposizione valida solo in tempi di persecuzione. Tuttavia, l’affermazione testuale non lascia spazio a interpretazioni ambigue.
In Iore Dea 158,1, viene ribadito che un medico ebreo non deve curare un cristiano, a meno che ciò non porti un vantaggio alla comunità ebraica. Questa norma sottolinea l’approccio legalistico del Talmud nei confronti delle relazioni con i gentili, considerati in una posizione di inferiorità morale e spirituale.
4. La legittimazione dell’inganno nei confronti dei cristiani
Un altro elemento particolarmente controverso della normativa talmudica è il permesso di ingannare i cristiani in specifiche circostanze. Nel trattato Bava Kamma 113a, si afferma che è lecito per un ebreo ingannare un non ebreo se ciò è necessario per il bene della propria comunità. Questo principio ha dato origine a interpretazioni discordanti, ma nel contesto medievale è stato spesso inteso come un’autorizzazione a mentire ai cristiani senza commettere peccato.
Nel Trattato Sanhedrin 57a si afferma che un ebreo non è obbligato a restituire un oggetto smarrito a un non Ebreo, poiché quest’ultimo non rientra nella categoria di «fratello» secondo la legge rabbinica. Tale norma, nel contesto della giurisprudenza talmudica, riflette una distinzione tra la comunità ebraica e le altre nazioni, delineando un sistema giuridico in cui determinati obblighi morali vengono applicati in maniera differenziata a seconda dell’appartenenza etnica e religiosa. Questa disposizione è stata oggetto di dibattito esegetico e reinterpretazioni nel corso della storia, specialmente nelle epoche medievali e moderne.
5. Persecuzioni reciproche
L’atteggiamento del Talmud verso il Cristianesimo ha avuto un impatto significativo nei secoli successivi, influenzando il modo in cui la comunità ebraica si è rapportata ai cristiani nelle società europee medievali. Durante i processi al Talmud del XIII secolo, molte di queste affermazioni furono utilizzate come prova del presunto odio degli ebrei nei confronti della cristianità. Secondo il professor Israel Mevorach (2017), tali processi contribuirono alla crescente ostilità tra cristiani ed ebrei, alimentando stereotipi e persecuzioni reciproche.
Secondo gli studi di Jonathan Elukin (2015), la polemica talmudica nei confronti del Cristianesimo si sviluppò principalmente in un periodo in cui la comunità ebraica si trovava in una posizione marginale rispetto alle società cristiane dominanti. Tuttavia, la presenza di norme così esplicite suggerisce che il conflitto non fosse solo una reazione alle persecuzioni, ma anche una questione dottrinale radicata nell’interpretazione rabbinica della Torah.
Conclusione
L’analisi del rapporto tra il Talmud e il Cristianesimo evidenzia una frattura irriducibile. Da un lato, il Talmud rappresenta l’eredità del farisaismo, configurandosi come un sistema normativo che si arroga l’autorità di interpretare la Torah e di definire i confini dell’ortodossia giudaica. Dall’altro, il messaggio di Cristo si presenta come il compimento della Legge, fondato sulla grazia e sulla fede, in contrapposizione a un’osservanza legalistica che impone pesi insostenibili sulle spalle dell’uomo.
Le critiche di Gesù ai Farisei non furono semplici rimproveri morali, ma il preludio di un conflitto che si sarebbe consolidato nei secoli successivi. Il Talmud, nella sua struttura teologica e giuridica, si configura come una risposta all’avvento del Cristianesimo, codificando un’opposizione sistematica alla figura di Cristo e alla sua dottrina, talvolta con toni apertamente polemici e sprezzanti. Di fronte a tale realtà, si impone la necessità di un’analisi rigorosa e intellettualmente onesta, affinché la verità possa emergere con chiarezza.
L’ostilità verso il Cristianesimo e i cristiani non è un semplice retaggio storico, ma un elemento strutturale della tradizione rabbinica. La netta separazione tra ebrei e gentili, le disposizioni restrittive nei confronti dei cristiani e il rifiuto esplicito del messaggio evangelico costituiscono i capisaldi di questa contrapposizione. Sebbene alcune interpretazioni moderne abbiano cercato di attenuare il significato di determinati passi talmudici, la loro formulazione originaria e il contesto storico in cui furono redatti rivelano una frattura insanabile tra la teologia cristiana e il giudaismo rabbinico.
“Non c’è più né Giudeo né Greco, non c’è più né schiavo né libero, non c’è più né uomo né donna, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28).
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